Maieusis - carpe diem

Motivazione e programma di inserimento

Affinché il paziente possa conquistare questo importante e difficile traguardo terapeutico, la Comunità deve creare un ambiente ordinato, accogliente e rassicurante.

Il primo obiettivo o traguardo terapeutico inizia prima ancora che il paziente entri in Comunità.

Condizione di ogni psicoterapia è la motivazione alla stessa. Non ha alcuna valenza terapeutica, “curare” un paziente che non desidera essere aiutato (ci è capitato che pazienti siano stati motivati e inviati in comunità, presentandogliela come un club vacanze o un tirocinio di lavoro; questo genere di argomenti, come tutte le bugie, hanno le gambe corte e sono destinati al fallimento).

Nella C.T., come in ogni psicoterapia, il paziente non è solo Oggetto di cure ma soprattutto Soggetto di terapia. Con ciò si intende, non solo che egli partecipa attivamente alla vita della comunità, ma più propriamente che egli è il protagonista di un processo terapeutico che non può avvenire senza la sua collaborazione; perciò è necessario che entri in Comunità non per una causa, la malattia, ma per raggiungere i suoi obiettivi terapeutici.
La domanda negata del paziente, che egli stesso tradisce negando il malessere o lasciandosi gestire dagli altri, è proprio quella di essere rispettato come soggetto di volontà. Poiché gli assistiti spesso negano la malattia, delegano ad altri le decisioni riguardanti la propria vita e sembrano privi di motivazione o contrari alla terapia, si tende invece a trascurare questo fondamentale concetto terapeutico. Ignorare, aggirare, ingannare o prevaricare la volontà del paziente affinché stia in comunità e si faccia "curare" è purtroppo una pratica antiterapeutica molto diffusa; la conseguenza è che l’assistito si lascia gestire ma non si prende la responsabilità di sé stesso (vantaggio secondario della malattia), anzi si sente autorizzato a tenere un comportamento irresponsabile, che rischia di inquinare il clima terapeutico della Comunità intera.
Se si anticipano i tempi di ingresso, scavalcando la sua volontà per rispondere a esigenze amministrative o a pressanti richieste dei familiari, si rischia di compromettere il processo terapeutico appena iniziato.
Insomma, poiché il processo terapeutico necessita sempre della collaborazione del paziente, egli deve essere aiutato a maturare la motivazione alla terapia prima ancora di entrare in comunità, motivazione che può nascere solo da un qualche riconoscimento del proprio malessere; allora è necessario prevedere un Programma di preparazione all’inserimento, cioè una serie di colloqui individuali e familiari (circa 10) e un periodo residenziale di prova (circa due mesi di frequentazione della struttura per alcuni giorni la settimana), finalizzato a:

conoscere la situazione familiare e ricevere informazioni più approfondite;
sensibilizzare il candidato al riconoscimento di un qualche disagio psichico – esistenziale;
informarlo circa il lavoro che si svolge in Comunità;
creare un minimo di rapporto di fiducia con l'operatore che lo seguirà;
sperimentare l'ambiente comunitario, con i suoi programmi e le sue regole;
maturare una richiesta minima di aiuto e concordare alcuni obiettivi terapeutici;
Da quanto detto si comprende come l’adesione del paziente a un progetto effettivamente terapeutico sia un traguardo prima che un punto di partenza della terapia. Il raggiungimento di tale traguardo richiede spesso una strategia terapeutica e la collaborazione dei familiare che devono essere aiutati a superare i propri sensi di colpa e gradualmente a sottrarre al paziente i vantaggi secondari della malattia, onde metterlo di fronte alla necessità di affrontare un cambiamento.
Il programma di preparazione all’inserimento si conclude con la firma del Contratto terapeutico, dove l’assistito chiede di entrare in Comunità, si impegna a rispettarne i programmi e le regole, dichiara alcune difficoltà - obiettivi terapeutici, individuati durante i colloqui.
I familiari prendono atto di questi obiettivi del figlio e, tramite colloqui telefonici settimanali e incontri mensili di terapia familiare, si impegnano a collaborare in un percorso terapeutico parallelo, affrontando i cambiamenti necessari. In questa fase saranno aiutati a elaborare i sensi di colpa, le ansie di separazione o di espulsione nei confronti del proprio congiunto.

Certo non è facile utilizzare lo strumento del contratto terapeutico, per il fatto che l'assistito tende a rimetterlo continuamente in discussione e a negare il malessere e i bisogni; spesso inoltre ha scopi irrealistici e onnipotenti, pseudo-obiettivi di normalità (per negare la malattia), segreti obiettivi di vendetta o impulsi autolesivi che non possono essere assecondati.
Se il paziente, per la natura stessa della sua patologia è così irresponsabilmente attratto da obiettivi illusori e autodistruttivi, in che misura possiamo rispettare la sua volontà e in che misura possiamo contrastarla, senza inquinare il processo terapeutico?
Si pone insomma un dilemma specificamente psichiatrico: quello di non poter dare credito alle richieste del paziente e, nel contempo, di non poterle ignorare. Si tratta allora di accogliere una ammissione minima di disagio psichico e di accordarsi su una richiesta minima di aiuto, per generare nel tempo, attraverso confronti e verifiche, una evoluzione di obiettivi e un processo terapeutico; si tratta di sostenere i progetti costruttivi, lottando contro le tendenze autolesive che caratterizzano la malattia.

Nella Maieusis il progetto terapeutico viene verificato settimanalmente durante specifiche sedute di Piccolo Gruppo. Sono inoltre previsti incontri periodici per responsabilizzare le persone coinvolte nel Contratto: l'assistito, la Comunità, i familiari (spesso ambivalenti) e il Servizio pubblico inviante (che investe anche economicamente per il reinserimento dell’assistito nella società). Durante tali incontri si fa un bilancio del lavoro svolto: quali risultati sono stati ottenuti e quali nuovi obiettivi si intende perseguire.

Relatori:

Ignazio Caltagirone
Marina M. Smargiassi