Maieusis - riflessione io

Reintegrazione dell’io e attività terapeutico – riabilitative

L’obiettivo di questa fase è quello di promuovere la crescita del vero Sé regredito contro la tentazione del paziente di rimanere in uno stato di regressione e passività.

Il quarto traguardo o progetto terapeutico è quello di uscire dalla passività e dalla onnipotenza della posizione simbiotica, per cominciare a confrontarsi e attivarsi nell’ambiente protetto della Comunità, per sperimentare e valorizzare una immagine di sé, forse modesta ma reale.

La domanda negata del paziente (da un superIO svalutante) è una domanda di apprezzamento, di sostegno e di dipendenza..

L’obiettivo di questa fase è quello di promuovere la crescita del vero Sé regredito contro la tentazione del paziente di rimanere in uno stato di regressione e passività, con aspettative illusorie verso l’operatore madre o di riproporre la scorciatoia del falso Sé pseudo-adulto, con cui evita di affrontare la realtà, la disillusione, la solitudine, la frustrazione e l’impotenza.

Questa fase inizia quando l’operatore cerca di sottrarsi a una relazione simbiotica e d’uso, quando utilizza in modo più rigoroso il setting e comincia a confrontarsi, scontrarsi e lottare contro la passività e le pretese del paziente, riaprendo la ferita narcisistica dell’assistito che, sentendosi frustrato nelle sue aspettative illusorie e schiacciato dalla realtà e dai propri limiti, comincia a protestare, sindacare, rivendicare, sabotare, trasgredire o attuare una resistenza passiva al programma.

Emerge insomma la rabbia del paziente, che mentre prima portava attacchi al legame, per paura dell’intimità e del coinvolgimento affettivo, ora porta attacchi rivendicativi, svalutanti e ricattatori e minacciosi, per controllare e sottomettere l’operatore al suo volere.

Dalla scissione-idealizzazione della posizione simbiotica si passa ora all’ambivalenza e al conflitto, con ripetute regressioni e reintegrazioni dell’IO.

Se la relazione terapeutica è sufficientemente buona, nasce la preoccupazione di perderla e il desiderio di superare il conflitto che deriva da una posizione simbiotica ed egocentrica.

La funzione curante della Comunità consiste in un lavoro integrato di riabilitazione e psicoterapia.

La Riabilitazione dovrebbe prevedere diverse aree di attività attraverso le quali gli assistiti possano confrontarsi con le proprie capacità o difficoltà: espressive, lavorative, relazionali e introspettive. Il compito degli operatori è quello di accompagnare, promuovere, sostenere il paziente nello svolgimento del programma e nel cambiamento del suo stile di vita fallimentare.

Il confronto quotidiano con operatori e compagni sollecita un processo di differenziazione e di attivazione nell’assistito che lo aiuta a uscire da un ruolo di malato o di figlio.

La reintegrazione dell’IO è anche sollecitata dal fatto che l’autogestione della comunità non è affidata a personale ausiliario e che non ci sono solo figure genitoriali come gli operatori ma anche i compagni, con le loro esigenze e i loro diritti, verso i quali non si possono accampare pretese. Questa è, molto in sintesi, la natura dell’intervento riabilitativo.

Si deve però constatare che spesso gli assistiti possiedono già quelle competenze che si vorrebbe loro insegnare e che tali competenze sono inibite per motivi dinamici, per controllare l'angoscia. Infatti accade spesso che, in un momento di entusiasmo, gli assistiti ritrovino le loro capacità, ma che dopo tali esploit si sentano nuovamente assalito da violenti angosce, per le quali si rifugiano di nuovo nella passività o abbandonano la terapia o compiono atti autolesivi.

La verità è che l’intervento riabilitativo è insufficiente se non è accompagnato e integrato a un lavoro psicoterapeutico, teso a rimuovere le forze autodistruttive che hanno causato la malattia e che sono ancora attive nella psiche del paziente. I progressi risultano precari se il paziente non elabora il suo odio rimosso, l’identificazione con l’aggressore (superIO negante), la rabbia per la perdita delle illusioni primarie e se non riesce a perdonare e a essere riparativo piuttosto che vendicativo e autopunitivo.

Insomma la Riabilitazione e la Psicoterapia hanno una funzione complementare e sinergica per la salute mentale. Le comunità che fanno solo riabilitazione, dove non c’è attenzione e sensibilità ai significati degli atti e delle parole, possono addestrare il paziente, spingerlo verso un adattamento conformistico all’ambiente, aggiungere nuovi condizionamenti psichici ai vecchi, ma non lo aiutano a capire la sua storia e i suoi vissuti, a instaurare e mantenere relazioni affettive e autentiche.

Dall’altro lato, come sappiamo, la psicoterapia, che lavora sulle cause della malattia, cioè sull’autodistruttività e sull’odio rimosso, da sola è impotente di fronte alla negazione e alla confusione del paziente psichiatrico, che ha bisogno di essere accompagnato, sostenuto, rispecchiato e fronteggiato quotidianamente e che, essendo scisso, spesso riesce a comunicare i suoi problemi solo agendoli.

Altrettanto impotente è la psicoterapia tradizionale, individuale o di gruppo, quando opera nell’ambiente comunitario come un corpo estraneo, avulsa dalla vita della comunità e da ciò che vi accade, che cioè non è un momento elaborativo di ciò che il paziente ha già fatto, detto e portato in Comunità con i suoi agiti e le sue “azioni parlanti”, come le chiama Racamier”.

Così, se gli analisti non fanno parte integrante dell’equipe terapeutica e se la psicoterapia è solo analisi di ciò che riesce a raccontare il paziente, come sappiamo spesso negante e menzognero, presto tale terapia diventa la parodia di se stessa, collusiva del falso sé del paziente, che idealizzerà la “psicanalisi”, svalutando difensivamente la Comunità e le attività riabilitative, che fanno da specchio ai suoi limiti.

È opportuno pertanto che tra psicoterapia e riabilitazione ci sia un rapporto dialettico di questo tipo:

il paziente si sperimenta nella vita Comunitaria dove incontra delle difficoltà, affettive o lavorative, per le quali è accompagnato e sostenuto dagli operatori;
tali difficoltà di solito nascondono delle resistenze dinamiche che si possono manifestare in vario modo, spesso con comportamenti auto-distruttivi;
la elaborazione analitica dei vissuti sottostanti, in un setting apparecchiato a questo scopo, permette di individuare, comprendere e in qualche misura riappropriarsi, di parti di sé scisse, rimosse, odiate;
ciò libera nuove energie nell’assistito che può così riprendere il suo percorso con minori angosce di prima;
incontrerà nuove difficoltà e nuove resistenze, le quali solleciteranno nuove elaborazioni.
Questo dialogo tra riabilitazione e psicoterapia è essenziale della terapia di comunità.

Nella Maieusis è attuato tramite le sedute settimanali del Gruppo-famiglia, che hanno appunto la funzione specifica di facilitare il processo terapeutico-riabilitativo dell'assistito, attraverso l’elaborazione delle difficoltà espressive, lavorative, relazionali e introspettive da lui incontrate in Comunità durante la settimana, e attraverso l’analisi e l’elaborazione delle sue resistenze e dei suoi “agiti”, che sono spesso l'unico modo di comunicare dei nostri assistiti.

Relatori:

Ignazio Caltagirone
Marina M. Smargiassi